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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-07 ad oggi 2010-05-07 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

 

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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

…..

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-07 ad oggi 2010-05-07

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2010-05-09

IL CASO

Verbali, testimonianze, identikit

spariti dagli atti dell'inchiesta

Anni di depistaggi per nascondere la verità sull'attentato. E per ogni omicidio si seguiva la pista passionale

di ATTILIO BOLZONI

Verbali, testimonianze, identikit spariti dagli atti dell'inchiesta Giovanni Falcone

ROMA - Carte scomparse, verbali d'interrogatorio mai più ritrovati, armadi svuotati, denunce insabbiate, identikit persi, depistaggi. E una pista "passionale" per ogni omicidio, un'amante segreta per ogni morto. Le indagini sull'attentato dell'Addaura sono l'annuncio delle stragi del 1992, sono le mosse che anticipano le uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.

Misteri. Misteri che non sono solo di mafia ma anche di Stato. L'elenco delle prove che non ci sono più - o che non ci sono mai state perché le hanno fatte sparire prima - è la trama che racconta la vicenda di quei candelotti di dinamite destinati nel giugno del 1989 al giudice Falcone. Per arrivare a Capaci però si deve passare da altre due croci e da altre due tombe, da due poliziotti che qualcuno ha voluto a tutti i costi "sporcare" per non farci avvicinare alla verità. Cominciamo da Nino Agostino, cominciamo dalle indagini taroccate sul suo omicidio avvenuto il 5 agosto del 1989. Ucciso lui e uccisa sua moglie Ida. Era ancora a terra quando suo padre Vincenzo gli ha sfilato dalla tasca il portafoglio e, lì dentro, ha trovato un biglietto: "Se mi succede qualcosa andate a guardare nell'armadio della mia stanza da letto".

Agli atti dell'inchiesta non c'è niente del materiale sequestrato in quell'armadio. Come non c'è il resoconto di un lungo interrogatorio del padre di Nino Agostino nell'estate del 1989, quello dove riferiva di avere visto "un uomo con la faccia da mostro che cercava mio figlio una ventina di giorni prima che fosse ucciso".

Vincenzo Agostino, una mattina di ventuno anni fa, pochi giorni dopo la morte del figlio, entrò alla squadra mobile di Palermo per raccontare: "Sono venuti in due a casa mia e volevano parlare con Nino, mi hanno detto che erano suoi colleghi. Uno aveva una faccia da mostro, martellata dal vaiolo e con un muso da cavallo... era biondastro". Probabilmente la stessa "faccia da mostro" segnalata negli anni successivi da più testimoni (e anche da un mafioso informatore di un colonnello dei carabinieri) sui luoghi delle stragi in Sicilia. La testimonianza di Vincenzo Agostino è stata inghiottita nel buio: non ce n'è traccia in un solo atto della corposa inchiesta sull'uccisione del poliziotto. Tutta l'indagine sull'omicidio per anni si è sviluppata intorno a una vecchia storia d'amore, un'antica fidanzata di Nino. "Una follia", ha sempre ripetuto il padre, "una follia per potere portare avanti un depistaggio dopo l'altro".

Hanno cercato "una donna" anche per trovare un movente all'omicidio di Emanuele Piazza, il collaboratore del servizio segreto civile strangolato il 15 marzo 1990, nove mesi dopo l'attentato all'Addaura. Tre volte suo padre Giustino ha dovuto chiedere la riapertura di un'inchiesta che volevano mandare subito in archivio. E sette mesi, dalla morte di Emanuele, hanno dovuto attendere i magistrati della procura della repubblica di Palermo prima di ricevere una nota del Sisde (firmata dal direttore del Servizio Riccardo Malpica, il 22 settembre 1990) che testimoniasse la "collaborazione" del ragazzo "con i commissariati di San Lorenzo e Mondello per la ricerca dei latitanti".

Nebbie che hanno avvolto fin dal principio la morte di Emanuele Piazza. Ricorda oggi il padre: "Ho denunciato la scomparsa di mio figlio il 17 marzo alla polizia, ma la polizia non ha ritenuto di avvertire i carabinieri neanche con una velina. Dopo tre mesi la notizia della scomparsa di Emanuele è stata pubblicata da Repubblica e, a casa mia, si sono precipitati i carabinieri della stazione Crispi per chiedermi conto e ragione perché non avessi presentato denuncia.. io sono rimasto sconcertato".

Come è rimasto senza fiato quell'altra volta che un alto del funzionario del ministero degli Interni, davanti a un magistrato, ha ammesso "di avere conosciuto una volta Emanuele Piazza all'Hotel delle Palme di Palermo" e poi di non averlo incontrato mai più. Ricorda ancora Giustino Piazza: "Quel funzionario telefonava ogni sabato pomeriggio a casa mia a Sferracavallo e chiedeva di Emanuele, che conosceva molto bene".

Coperti dai segreti, l'omicidio Agostino e l'omicidio Piazza, sono i due "casi" che ruotano intorno all'attentato dell'Addaura e che segnano in qualche modo il calvario che porterà a Capaci. Le ultime indagini cercano collegamenti fra la dinamite davanti alla villa di Falcone del 1989 e la strage del 1992, c'è un filo - non solo mafioso - che parte dagli scogli dell'Addaura e finisce sull'autostrada Trapani-Palermo. È anche storia di identikit scomparsi e ritrovati in altri fascicoli (quelli degli assassini del giudice), di atti finiti in fascicoli diversi da quelli dove dovevano stare, di informative dimenticate in qualche cassetto. Un "disordine" perfetto.

(08 maggio 2010)

 

 

 

2010-05-07

INCHIESTA ITALIANA

Addaura, nuova verità

sull'attentato a Falcone

Così lo Stato si divise. Nel commando non c'erano solo i boss di Cosa nostra ma anche presenze estranee: uomini dei servizi segreti

di ATTILIO BOLZONI

Addaura, nuova verità sull'attentato a Falcone La casa al mare di Falcone, teatro del fallito attentato del 1989

È tutta da riscrivere la storia delle stragi siciliane. Le inchieste sono partite con quasi vent'anni di ritardo per disattenzioni investigative e deviazioni, un depistaggio che ha voluto Totò Riina e i suoi Corleonesi come unici protagonisti del terrore. Tutto era riconoscibile già allora: bastava indagare su quelle "presenze estranee" a Cosa Nostra. Ma nessuno l'ha fatto.

Vent'anni dopo è stata capovolta tutta la dinamica del fallito attentato dell'Addaura. Ci sono testimonianze che rivelano un'altra verità e che irrobustiscono sempre di più l'ipotesi di un "mandante di Stato".

La scena del crimine è da spostare di ventiquattro ore: la borsa con i candelotti di dinamite è stata sistemata sugli scogli non il 21 giugno del 1989 ma la mattina prima, il 20 giugno. E, da quello che sta emergendo dalle investigazioni, sembra che fossero due i 'gruppì presenti quel giorno davanti alla villa di Falcone. Uno era a terra, formato da mafiosi della famiglia dell'Acquasanta e da uomini dei servizi segreti. E l'altro era in mare, su un canotto giallo o color arancio con a bordo due sub. I due sommozzatori non erano di "appoggio" al primo gruppo: erano lì per evitare che la dinamite esplodesse. Non c'è certezza sull'identità dei due sommozzatori ma un ragionevole sospetto sì: uno sarebbe stato Antonino Agostino, l'altro Emanuele Piazza.

Il primo, Agostino, ufficialmente era un agente del commissariato San Lorenzo ma in realtà un cacciatore di latitanti. Venne ammazzato insieme alla moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989, nemmeno due mesi dopo l'Addaura. Mai scoperti i suoi assassini. Anche Totò Riina ordinò una "indagine" interna a Cosa Nostra per capire chi avesse ucciso il poliziotto: "Anche lui non riuscì a sapere nulla", ha riferito il pentito Giovanbattista Ferrante. "È stato ucciso perché voleva rivelare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo. Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei", ha raccontato invece il collaboratore di giustizia Oreste Pagano. Per l'uccisione di Antonino Agostino, la squadra mobile di Palermo seguì per mesi un'improbabile "pista passionale".

Qualche mese fa i magistrati di Palermo hanno ascoltato un testimone - un funzionario di polizia - che ha raccontato di avere ricevuto una confidenza proprio dal giudice Falcone, andato a trovarlo una sera nel suo commissariato: "Questo omicidio l'hanno fatto contro di me e contro di lei". Parlava dell'agente Antonino Agostino.

Il secondo sommozzatore, Piazza, era un ex agente di polizia che aveva anche lui cominciato a collaborare con i servizi segreti (il Sisde) nella ricerca dei latitanti. Emanuele Piazza è stato ucciso il 15 marzo del 1990. Una "talpa" avvisò i mafiosi che l'ex agente di polizia stava lavorando per gli apparati di sicurezza. I boss lo attirarono in una trappola e lo strangolarono. Anche per il suo omicidio, la squadra mobile di Palermo indirizzò inizialmente le ricerche su "una fuga della vittima in Tunisia, in compagnia di una donna".

Un depistaggio nelle indagini sul primo omicidio, un altro depistaggio nelle indagini sul secondo omicidio. Sul fallito attentato dell'Addaura sta affiorando un contesto sempre più spaventoso: un pezzo di Stato voleva Falcone morto e un altro pezzo di Stato lo voleva vivo. Ma chi ha deviato le indagini sugli omicidi di Antonino Agostino ed Emanuele Piazza? Chi ha voluto indirizzare i sospetti verso la "pista passionale" per spiegare le uccisioni dei due poliziotti?

Un giallo nel giallo è nascosto fra altre pieghe del fascicolo sull'Addaura: si stanno cercando da mesi gli identikit dei due sommozzatori, ricostruiti attraverso le indicazioni di alcuni bagnanti che il 20 giugno del 1989 erano nella zona di mare dove volevano uccidere Giovanni Falcone. Quotidiani e agenzie di stampa avevano, al tempo, dato ampio risalto alla notizia di quegli identikit: oggi c'è il sospetto che non siano mai stati consegnati alla magistratura. Entrare nelle indagini dell'Addaura è come sprofondare nelle sabbie mobili.

Se l'affaire dell'Addaura è il punto di partenza di tutte le indagini sulle altre stragi siciliane, è un affaire con troppi morti. E molti interrogativi. Ad esempio, perché le indagini sull'attentato al giudice sono partite con vent'anni di ritardo? E chi ha ucciso tutti i testimoni dell'Addaura?

Morto è Francesco Paolo Gaeta, un piccolo "malacarne" della borgata dell'Acquasanta, che il giorno del fallito attentato aveva casualmente assistito alle manovre militari intorno alla villa del giudice. Qualche tempo dopo, Gaeta fu ucciso a colpi di pistola: il caso fu archiviato come regolamento di conti fra spacciatori.

Morto è il mafioso Luigi Ilardo. Era un informatore del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, e all'ufficiale aveva detto: "Noi sapevamo che a Palermo c'era un agente che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino". Il mafioso Luigi Ilardo è stato assassinato qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni.

Morto Ilardo. Morto Falcone. Morto l'agente Nino Agostino. Morto il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza.

È caccia aperta all'uomo con la faccia da mostro. Qualcuno dice che si è vicini a un riconoscimento, qualcun altro giura che quell'uomo non si troverà mai perché anche lui è morto da anni. Così come è caccia aperta ad altri "agenti dei servizi" legati ai boss di Corleone. Uno, in particolare, chiamato di volta in volta "Carlo" o "signor Franco": un uomo degli apparati che per una ventina di anni è stato al fianco dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Trattava con lui e con Totò Riina nell'estate del 1992.

Sono due i livelli del coinvolgimento degli apparati di sicurezza all'ombra delle stragi: ci sono i servizi sospettati di aver trattato con la mafia e ci sono i servizi sospettati di avere avuto un ruolo attivo negli attentati. Se non si scopriranno queste trame, non sapremo mai chi davvero ha ucciso Falcone e Borsellino e perché. C'è puzza di spie in ogni massacro siciliano. Misteri di mafia che si confondono con misteri di Stato.

(07 maggio 2010

 

 

 

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